Forró, l'anima del Nordeste
Nato nel nordeste oltre mezzo secolo fa, cresciuto nel grande interior tra Bahia e il Ceará, il forró da una decina d'anni è divenuto un fenomeno musicale urbano, trovando eserciti di estimatori nelle capitali del sud del Brasile. Genere regionale di origine agreste, da ballare in coppia eseguendo figure precise, il suo habitat ideale erano le feste juninas, tipiche del mese di giugno e della ricorrenza di São João. Oggi, grazie alla diffusione capillare, non è più una passione locale o stagionale. Con un'inversione di tendenza rispetto alla moda del drum & bass verdeoro e del brasilectro, questo stile rurale da un paio di stagioni sta conquistando adepti anche in Europa, nell'ambito di una generale riscoperta della musica brasiliana tradizionale. Persino in Italia si comincia, timidamente, a danzare "dois pra lá, dois pra cá".

In realtà, più che un genere definito, il forró è un contenitore di ritmi distinguibili tra loro per impercettibili sfumature. Xote, xaxado, côco, quadrilha: tutto "fa" forró. Si ascolta il forró, si va al forró, si balla il forró. Un termine che indica al tempo stesso una musica, un ritrovo, una danza e la cui origine è controversa. La leggenda vuole che, alla fine del secolo XIX, i responsabili inglesi della Great Western of Brazil, concessionaria della prima ferrovia che univa Recife a Limoeiro, in Pernambuco, organizzassero balli e momenti ricreativi per le maestranze locali. Essendo aperti a tutti, questi eventi sarebbero stati definiti "for all", espressione da cui deriverebbe il termine "forró", sua contrazione in portoghese. Ipotesi suggestiva, non fosse che ne esiste una variante, altrettanto diffusa.
In essa, l'epoca è più recente. Siamo infatti durante la Seconda guerra mondiale e la strada ferrata lascia il posto a una base dell'esercito americano, insediata in una città che non è più Recife ma Natal. Come personaggi della storia, ovviamente, ai funzionari britannici subentrano i militari yankee. In realtà non esistono prove a suffragio dell'origine anglofona della parola. Alcune scuole di pensiero, invero con apparente forzatura, la ipotizzano figlia del francese faux-bourdon, una tecnica di armonizzazione musicale, addirittura risalente al medioevo. Noi sposiamo la tesi dell'esimio storico e antropologo, nonché giornalista contemporaneo, Luís da Câmara Cascudo (1898-1986). Lo studioso potiguar (del Rio grande do norte) trovò una plausibile assonanza etimologica tra forró e la parola africana forrobodó, che significa "festa, confusione". Espressione che, secondo Cascudo, veniva usata anche nella penisola iberica, con la grafia forbodó, per indicare un tipo di ballo «senza eleganza né grazia, destinato ai ceti poveri».
Statuina in legno di Luiz Gonzaga fotografata a Rio de Janeiro

Se l'origine del nome resta incerta, il primo responsabile della diffusione su larga scala del forró in Brasile è unanimemente identificato in Luíz Gonzaga. Pernambucano, fu l'artefice, negli anni 40, del successo popolare del baião, legittimo progenitore del forró moderno. Il baião, originariamente, era una sorta di "riscaldamento" dal vivo, costituito da un paio di brani strumentali, che servivano ad accordare le chitarre e che i cantador del nordeste si concedevano prima di scatenarsi in improvvisazioni dette repente e attaccare con il repertorio principale. Gonzagão prese quel primordiale baião, ne sviluppò l'introduzione armonica, lo impreziosì con testi e arrangiamenti, aggiunse un'orchestra completa alla viola solitaria e lo registrò su disco. Fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1989, accumulò una formidabile produzione di 166 microsolchi ufficiali, tra album a 78, 45 e 33 giri. Addolcendo i toni, smussando gli angoli e progressivamente accelerando il ritmo del baião, nel corso degli anni creò quello che oggi è conosciuto come forró, in cui il riecheggiare di polke e mazurche tradisce pure una lontana linea di sangue europea.
Luíz Gonzaga contribuì anche alla definizione della base strumentale canonica dello stile, costituita da triângulo, zabumba e sanfona (triangolo, tamburo e fisarmonica). Sia i puristi del forró pé-de-serra, cioè quello più tradizionale, che i nuovi forrozeiros esposti alle contaminazioni, oggi concordano che non si possa parlare di forró senza la presenza dei tre strumenti indicati. Persino Carmen Miranda subì il fascino della musica "inventata" da Gonzagão e interpretò un travolgente forró-baião nel film hollywoodiano "Nancy va a Rio", del 1950. Tale è stata l'importanza di Luiz Gonzaga per lo sviluppo del genere, che una legge del 2005, promossa dalla deputata federale Luiza Erundina, ha dichiarato il 13 dicembre, giorno del compleanno dell'artista, "Dia nacional do forró". Temi come "O fole roncou", "Juazeiro" e l'inno "Asa Branca" fanno parte del patrimonio storico della musica brasiliana.
Successo e riconoscimento, a partire dalla seconda metà degli anni 50, ebbe anche il percussionista, cantante e compositore paraíbano Jackson do Pandeiro, il cui grande merito fu rendere accessibili i ritmi del nordeste al pubblico del samba, suo principale stile di riferimento. Durante tutta la sua carriera, continua fu la ricerca di conciliare e miscelare questi due elementi. La particolare enfasi percussiva presente nella sua opera fu diretta conseguenza delle peculiari caratteristiche dello strumento da lui suonato (il tamburello o pandeiro, appunto), tra i principali protagonisti dell'orchestrazione sambistica. Se molti aspetti dell'arte di Jackson do Pandeiro, il cui punto più alto fu l'interpretazione nel 1960 di "Chiclete com banana" di Gordurinha/Castilho, possono essere ricondotti al forró, il genere rimane indissolubilmente legato al nome di Luiz Gonzaga, che ne fu il principale esponente per almeno tre decadi.

Dalla fine degli anni 60 alla caduta del regime militare, avvenuta nel 1984, artisti di estrazione regionale, riconducibili alla galassia onnicomprensiva della música popular brasileira, inclusero nei loro lavori brani di forró o, comunque, di sapore nordestino. Elba Ramalho, Fagner, Alceu Valença, Zé Ramalho, Moraes Moreira sono solo alcuni tra questi. Gal Costa, cantante mainstream per eccellenza, ebbe grande successo, nel 1981, con la hit caipira "Festa do interior", dello stesso Moraes Moreira e Abel Silva. Defenestrati i generali, la frenesia di cambiamento che attraversò il Brasile come una scossa elettrica, il rinnovato respiro di libertà e la ricerca di aperture sonore verso l'estero, che caratterizzarono la stagione della "Geração rock", sembrarono cancellare il forró. Vecchi venivano ritenuti i suoi valori, i suoi suoni e i suoi alfieri. Ritornato nella riserva naturale delimitata dai confini del nordest del Brasile, vi restò imprigionato e dimenticato per un decennio, non fosse stato per la compilation "Brazil classics 3 - forró etc.." di David Byrne, benemerito salvatore di specie musicali in estinzione.
Il black out durò fino alla metà degli anni 90, quando nuovi artisti di talento, come Lenine e Zeca Baleiro, tornarono a legittimare il forró, sfiorandone le tematiche lungo il loro percorso di recupero del regionalismo. E così fecero parecchi dei vecchi leoni già citati, unitamente ad altri, che seguirono l'onda. In quell'epoca, all'interno del movimento studentesco che frequentava le feste tenute negli atenei di Rio, São Paulo e di altre città del sud e del sud-est, cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di un fenomeno, conosciuto come forró universitario, che pochissimi anni più tardi sarebbe letteralmente esploso. Vi era fermento, tra quei giovani di classe media con educazione superiore, che dimostravano notevole interesse verso il forró, in particolare verso quello acustico. Un genere allegro e coinvolgente, carburante ideale per accendere baccanali sfrenati, animati dalla goliardia, tra fiumi di birra e beijos na boca, frequentati da centinaia di persone.
Smessi da tempo i panni dell'innovatore, Gilberto Gil rimane il maggior scopritore di tendenze nel mondo musicale brasiliano. Con il solito infallibile fiuto, captò l'entusiasmo dei ragazzi e comprese che i tempi erano maturi per un revival del forró su scala nazionale, in grande stile. Concepito alla fine della decade e pubblicato nel 2000, ricorrenza dei cinquecento anni del Brasile, il suo disco "As canções de eu, tu, eles" conteneva una serie di riletture di classici del forró e brani inediti, tratti dalla colonna sonora del film "Eu, tu, eles" di Andrucha Waddington, ambientato nel sertão nordestino. In un anno storico per il Paese, la hit "Esperando na janela" (Targino Gondim/Manuca/Raimundinho do accordeon) spopolò facendo leva sui valori di un Brasile semplice e ruspante, divenendo simbolo dell'orgoglio nazionale e, insieme, riportando definitivamente la luce dei riflettori sulla musica tipica di una delle regioni brasiliane più martoriate.
La passione per il forró era ormai trasversale alle collocazioni geografiche e ai ceti sociali. Dall'industria discografica giunse il "via libera" ufficiale e il genere, definitivamente sdoganato, invase il mercato. "Deixa entrar", pregevole album dei Falamansa, raggiunse i vertici delle classifiche, vendendo complessivamente quasi due milioni di copie. Le hit "Xote dos milagres" e "Rindo à toa" erano brani simpatici e accattivanti, due ottimi biglietti da visita per il forró del terzo millennio. A distanza di qualche anno, Tato e compagni, che hanno registrato un "Mtv ao vivo" (ormai uno status symbol) e diffondono la loro musica in formato digitale sui portali di download a pagamento, rimangono il gruppo di riferimento di questo nuovo forró cresciuto tra i banchi di scuola, nel Brasile metropolitano. Non figlio della seca o partorito in aride lande desolate.
Altri esponenti di spicco del forró universitario, quali Rastapé, O Bando de Maria, Peixelétrico, Bicho de pé e Forróçacana, hanno dimostrato come il trend non fosse né fugace né di scarso spessore musicale. Interessante risulta l'interazione tra questi gruppi e strumentisti di valore come Siba dei Mestre Ambrósio, virtuoso della rabeca, il tipico violino pernambucano. Oppure tra essi e band del nordeste sviluppatesi in tempi diversi. Anche veterani di provata esperienza come Flávio José, Mestre Dominguinhos, Trio Nordestino, Trio Virgulino o Sivuca (scomparso sei mesi fa) hanno beneficiato dell'impetuoso soffio del vento meridionale, vedendo le proprie carriere rivitalizzate dalla curiosità di nuove platee.
Per tutti si sono moltiplicate le opportunità di realizzare concerti dal vivo. Non più limitandosi a sagre di Paese o a eventi locali, gli artisti di forró oggi suonano nei grandi teatri e negli stadi. Oppure vengono profumatamente pagati per esibirsi di fronte ai ricchi fazendeiros che si ritrovano alle fiere agroalimentari o alle aste bovine. Non esiste dualismo tra "polo nord' e "polo sud" del forró, che convivono in perfetta armonia. Né l'uno si reputa depositario della tradizione, né l'altro si crede maggiormente in sintonia con il gusto moderno. Tanto più che il continuo esodo dei nordestinos verso le grandi città del sud contribuisce ulteriormente a rimescolare le carte.

Differenze sostanziali permangono nel modo di danzare. Nel nordeste c'è più malizia, più sensualità, più improvvisazione. Ci si stringe e si sta guancia a guancia, muovendosi di lato, avanti e indietro a piccoli passi. Lo si fa sia sulle piste da ballo di Caruaru e Campina grande, capitali del forró nordestino, che nei bailes degli immigrati, organizzati in occasione di mercati e feiras del nord-est non solo a Rio e São Paulo, ma anche a Brasília, Belo Horizonte e Porto Alegre. La scuola sudista privilegia, al contrario, la complessità delle evoluzioni, molte delle quali descritte con dovizia di particolari, catalogate e istituzionalizzate: dobradiça o "apertura laterale", "giro semplice", "giro del cavaliere", "otto" e così via.
Testimonianza della raggiunta maturità del genere sono le tante ramificazioni in cui esso attualmente si divide. Esistono il forró-reggae, l'axé-forró, il forrock, il forró estilizado, il surforró, persino il forró safado, sboccato e costellato di doppi sensi. Gruppi come Limão com mel, Aviões do forró e Banda Calypso fatturano quanto Caetano Veloso o Chico Buarque e i loro cd sono merce pregiata sui banchi dei camelô, gli ambulanti che vendono dischi pirata.
Qualcuno, con grossolana approssimazione, ha equiparato il forró al nostro ballo liscio. Il paragone può reggere solo se limitato ad un certo forró brega di estrazione essenzialmente commerciale, realizzato con pochi mezzi e dallo spirito nazional-popolare portato agli estremi. Sicuramente, nomi come "As Carolinas e o coronê", "Moleca 100 vergonha" e "Quarteto boca mole" non hanno nulla da invidiare ai nostri "Daniela e i Tecnicolors", "Baiardi e i Makarena" e "Gianni e i Macedonia". Dopo lo sbarco ufficiale in Europa, avvenuto nel 2005 grazie alle manifestazioni per l'Anno del Brasile in Francia, il forró ha varcato le Alpi, anche se pochi se ne sono accorti. In tutti i sensi, in Italia siamo veramente ai primi passi. Quelli di danza, infatti, sono conosciuti solo da brasiliani che vivono qui, da pionieri italici che se ne sono impratichiti in Brasile e da qualche frequentatore nostrano di dancing e balere.
Musicalmente, salvo rare esibizioni di artisti di stanza nel nostro Paese, i primi veri sbuffi di sanfona sono stati uditi dal vivo l'estate scorsa, durante il tour italiano dell'Orquestra do fubá, sei giovani musicisti residenti tra il Brasile e Parigi, in questi giorni nuovamente da noi. Il genere è pressoché sconosciuto e lo Stivale è terra vergine, quanto a forró. Impossibile fare previsioni su una sua eventuale diffusione, anche in considerazione della problematica commestibilità da parte di orecchie tricolori abituate a buttare tutto in samba e in bossa nova. O, ultimamente, assuefatte a pagode e axé. Ma vogliamo comunque auspicare un allargamento delle conoscenze sull'infinito universo della mpb, invitando idealmente a lanciare uno sguardo verso l'orizzonte illuminato dai falò di São João
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